Dovessimo scegliere un film ambientalista fra tanti, uno solo, sarebbe difficile scegliere nel vasto mazzo che va da Tarzan delle scimmie (per la sua rappresentazione del rapporto uomo-natura) a L’Infinito spazio profondo di Herzog (apologo cinematografico sul destino del nostro pianeta), da Metropolis (l’uomo, la metropoli, la disumanizzazione) a Godzilla (la paura del nucleare, la modificazione genetica). E fra i film italiani?Prima di Gomorra, che denuncia il traffico di rifiuti pericolosi, c’è stato Le mani sulla città. Correva l’anno 1963, allora non molti in Italia parlavano di ambente e di territorio. Fra i pochi, pochissimi, c’era in quegli anni su Il Mondo Antonio Cederna che scriveva (e combatteva) per noi. Al cinema c’era Francesco Rosi.
«I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce » recita una didascalia del film. Quello di Francesco Rosi – e soprattutto il Rosi degli anni Sessanta e Settanta – è un cinema i cui epigoni è appunto raro ritrovare nel contemporaneo cinema italiano. Non basta fare del cinema politico, quale è definito quello di Rosi, per poterne eguagliare la forza, ma bisogna farlo bene. Le mani sulla città non ha soltanto “la forza di un editoriale dell’Espresso dei tempi che furono” (come ha detto il critico Morando Morandini), ma riesce ad essere cinema nel senso più pieno del termine. Hollywood è lontana ma assistiamo alla stessa perfezione tecnica dei capolavori d’oltreoceano, soprattutto quelli realizzati dai registi europei emigrati Billy Wilder, Fritz Lang, Alfred Hitchcock, dove le ombre minacciose si allungavano sopra lo showbiz.
Storia di palazzinari e politici corrotti in una Napoli che non ha ancora costruito le “Vele” ma che già preannuncia quello che verrà. Lo stile asciutto, i volti ben scelti dei protagonisti (fra tutti Rod Steiger e Salvo Randone), la fotografia essenziale, tutto è a servizio del racconto, della denuncia perché oltre a questa allo spettatore non deve rimanere niente altro da immaginare. Rimane lo sgomento verso quei pochi uomini che, col silenzio dei più, possono sventrare una città e impossessarsene.
Si scrisse che il personaggio di Steiger fosse ispirato ad Achille Lauro. Quando il film si aggiudicò il Leone d’oro alla Mostra di Venezia la politica di allora si indignò con la solita retorica del “così non si fa il bene del paese”. Nel frattempo a Rosi è andato anche un’altro Leone d’oro, alla carriera, proprio lo scorso anno. E quest’anno le Mani sulla città aprirà la 70° Mostra di Venezia con una copia interamente restaurata in digitale dalla Cineteca Nazionale di Roma.